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Hippolyte Taine

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Hippolyte Taine

Hippolyte Adolphe Taine (1828 – 1893), filosofo, storico e critico letterario francese.

Citazioni di Hippolyte Taine

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  • Ci si studia per tre settimane, ci si ama per tre mesi, si litiga per tre anni, ci si tollera per trent'anni; e i figli ricominciano.[1][2]
  • I bambini consolano di tutto... tranne del fatto di averne.[1][3]
  • Il vizio e la virtù sono prodotti, come il vetriolo e lo zucchero.[4][3]
  • Napoleone, molto più italiano che francese: italiano per stirpe, istinto, immaginazione e lascito; ha considerato nei suoi piani il futuro dell'Italia e, nel valutare il bilancio del suo regno, il profitto netto è per l'Italia e la perdita netta è per la Francia.[5]  Testo originale? Testo originale?
  • Niente è più pericoloso d'un grande pensiero in un piccolo cervello.[6][3]
  • Per comprendere un'opera d'arte, un artista, un gruppo d'artisti, bisogna rappresentarsi con precisione lo stato generale dello spirito e dei costumi del tempo cui essi appartenevano.
Pour comprendre une oeuvre d'art, un artiste, un groupe d'artistes, il faut se représenter avec exactitude l'état géneral de l'esprit et des moeurs du temps auquel ils appartenaient.[7]
  • Quattro tipi di persone al mondo: gli innammorati, gli ambiziosi, gli osservatori e gli imbecilli. I più felici sono gli imbecilli.
Quatre sortes de personnes dans le monde : les amoureux, les ambitieux, les observateurs et les imbéciles. Les plus heureux sont les imbéciles.[8]
  • [A proposito dell'amore che La Fontaine nutriva per gli animali] Segue le loro emozioni, ripercorre i loro ragionamenti, s'intenerisce, si rallegra, partecipa ai loro sentimenti. È ciò che ha vissuto con loro [...] L'animale contiene tutte le caratteristiche dell'uomo, sensazioni, giudizi, immagini.[9]
  • Si può considerare l'uomo come un animale di specie superiore che produce filosofie e poemi pressapoco come i bachi da seta fanno i loro bozzoli e le api i loro alveari.[10][3]
  • Si può paragonare abbastanza esattamente l'interno di una testa inglese a una guida Murray: molti fatti e poche idee.[11][3]
  • Tito Livio descrive l'ambiente fisico soltanto per spiegare le emozioni morali; solo avendo di mira l'anima, osserva il corpo. Polibio non rappresenta né l'uno né l'altra. Il passaggio delle Alpi non è per lui altro che un'ascensione, anabolé, che bisogna non far vedere, bensì far comprendere.[12]

La rivoluzione

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  • A capo dei fanatici c'è Duport, antico consigliere al Parlamento, il quale fin dal 1788, ha compreso l'impiego delle sommosse; i primi conciliaboli rivoluzionari si sono tenuti in casa sua; egli vuole «scavare a fondo» e i suoi piani per affondare la vanga erano tali che Siéyès[13], per quanto radicale, li ha chiamati una «politica di caverna». È Duport che, il 28 luglio 1789, ha fatto costituire il Comitato delle ricerche; per conseguenza tutti i delatori o spie di buona volontà formano, sotto la sua mano, una polizia di sorveglianza che diventa presto una polizia di provocazione. (parte seconda La conquista giacobina, libro I, cap. II, p. 51)
  • Il secondo [dei due o tre forestieri e avventurieri, buoni per le imprese micidiali] è un Polacco, Lazowski, antico elegante, bel fatuo che, con una facilità tutta slava, è diventato il più sguaiato dei sanculotti: un tempo provvisto d'una sinecura, poi gettato bruscamente sul lastrico, egli ha gridato nei club contro i suoi protettori che vedeva in decadenza; lo hanno eletto capitano dei cannonieri del battaglione Saint-Marcel, e sarà uno degli sgozzatori di settembre, ma il suo temperamento da salotto non è abbastanza forte per la sua parte da trivio, ed egli morrà in capo ad un anno, bruciato dalla febbre e dall'acquavite. (parte seconda La conquista giacobina, libro II, cap. V, pp. 182-183)
  • Ora, in tempo d'anarchia, la volontà non viene dall'alto, ma dal basso, ed i capi per restar capi, sono costretti di seguire il cieco impulso della loro schiera. Gli è per ciò che il personaggio importante e dominante, quello il cui pensiero prevale, il vero successore di Richelieu e di Luigi XIV, è qui il Giacobino subalterno, il pilastro di club, il fabbricante di mozioni, l'agitatore della strada, Panis, Sergent, Hébert, Varlet, Henriot, Maillard, Fournier, Lazowski, o, più basso ancora, il primo venuto dei loro uomini, il tape-dur marsigliese, il cannoniere del sobborgo, il facchino del mercato che ha bevuto e, fra due singhiozzi, elabora le sue concezioni politiche. (parte seconda La conquista giacobina, libro III, cap. I, p. 248)
  • Per unica informazione, egli [il giacobino] ha dei rumori di piazza che gli mostrano un traditore in ogni casa, e, per unica istruzione, delle frasi di club che lo chiamano a condurre la grande macchina. Una macchina così vasta e così complicata, un tale insieme di servizi intrecciati gli uni negli altri e ramificati in uffici innumerevoli, tanti apparati così speciali, così delicati e che bisogna incessantemente adattare alle circostanti cangianti, diplomazia, finanze, giustizia, esercito, amministrazione, tutto ciò sorpassa la sua comprensione tanto corta: non si fa stare un barile in una bottiglia. Nel suo cervello ristretto, falsato e sconvolto dall'ammasso di nozioni sproporzionate che vi si versa, non si depone che un'idea semplice, appropriata alla grossolanità delle sue attitudini e de' suoi istinti, ed è la voglia di uccidere i suoi nemici, che sono pure i nemici dello Stato, qualunque essi siano, dichiarati, dissimulati, presenti, futuri, probabili o persino possibili. (parte seconda La conquista giacobina, libro III, cap. I, pp. 248-249)

Viaggio in Italia

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  • [Napoli] È un altro clima, un altro cielo, quasi un altro mondo. Questa mattina, avvicinandomi al porto, quando lo spazio s'è slargato e l'orizzonte s'è scoperto, io non ho più visto, tutto a un tratto, che un vivo sfolgorio di luce bianca. In lontananza, sotto la foschia che copriva il mare, si profilavano e si stendevano le montagne, luminose e morbide come nubi. Il mare s'avanzava a grandi ondate biancheggianti, e il sole versava un fiume di fuoco, simile a metallo fuso, che arrivava sino alla spiaggia. (da Napoli, 20 febbraio 1864, pp. 28-29)
  • Verso le otto, non soffiava più un alito di vento. Il cielo sembrava di lapislazzuli, la luna, come una regina immacolata, risplendeva sola in mezzo all'azzurro e i suoi fasci di luce tremolavano sulla distesa dell'acqua, simili a torrenti di latte. Non ci sono parole adeguate per esprimere la grazia e la dolcezza delle montagne avvolte nella loro ultima tinta, nel viola vaporoso del loro manto notturno. Il molo, la foresta di barche, colle loro masse nere e cupe, le rendevano ancora più suggestive; e Chiaia a destra, girando intorno al golfo con la sua cintura di case illuminate, gli faceva una corona di fiamme.
    Da tutte le parti, brillano i fanali; la gente all'aria aperta chiacchiera ad alta voce, ride e mangia. Questo cielo è una festa per se stesso. (da Napoli, 20 febbraio 1864, p. 31)
  • Quali strade si attraversano! Alte, strette, sudice; a tutti i piani balconi che strapiombano, un formicaio di piccoli fondachi, di botteghe all'aria aperta, di uomini e di donne che comprano, vendono, ciarlano, gesticolano, si urtano; la maggior parte macilenti e brutti, le donne in particolar modo, piccole e camuse, dalla faccia gialla e dagli occhi penetranti, poco pulite e cenciose, con degli scialli disegnati a fogliami e fazzoletti da collo color viola, rossi, arancioni, sempre a colori vivaci, ornate di ninnoli di rame. Nei dintorni della piazza del Mercato si intreccia un labirinto di straducole lastricate e tortuose, piene di polvere, sparse di bucce d'aranci e d'angurie, di resti di legumi. La folla si pigia, nera e brulicante, nell'ombra spessa, sotto il cielo sereno. (da Attraverso Napoli e a zonzo per le strade, p. 32)
  • La strada ferrata corre a tre passi dal mare, quasi allo stesso livello. Ecco apparire un porto, striato dagli alberi neri delle navi, poi un molo, un piccolo forte mezzo rovinato, che getta un po' d'ombra e i cui angoli enormi ancora in piedi spiccano nella luce diffusa. Intorno, case quadrate, tutte grige e come bruciate, s'ammucchiano a guisa di testuggini sotto un tetto rotondo che fa loro da carapace. È Torre del Greco, che si difende contro i terremoti e contro la pioggia di cenere che lancerà il Vesuvio. (da Passeggiata a Castellammare di Stabia e a Sorrento, p. 36)
  • [Sui napoletani] In tutte le cose, la prima impressione è in essi troppo forte; appena toccati, essi scattano di colpo con una esagerazione qualche volta terribile, il più sovente grottesca. I mercanti che gridano la loro mercanzia paiono degli ossessi. Due cocchieri che litigano tra loro, sembrano vogliano uscire dalla pelle; un minuto dopo, essi non ci pensano più. (da Napoli. – Nelle strade, a passeggio, p. 57)
  • [Sui napoletani] La gente del popolo è molto sobria, pranza con pane e cipolle. Conosco un vecchio operaio che ha fatto di suo figlio un mezzo signore, e che non mangia che pochi soldi di pane al giorno. Essi lavorano da mattina a sera, qualche volta sino a mezzanotte, ad eccezione della siesta da mezzogiorno alle tre. Si vedono ciabattini all'aria aperta tirare la lesina dal mattino alla sera. Calderai che, in prossimità del porto, occupano intere strade, non cessano di battere. (da Napoli. – Nelle strade, a passeggio, pp. 58-59)
  • [Sui napoletani] È gente brillante, volubile, pronta all'entusiasmo, senza equilibrio, che si lascia trasportare dalla propria natura. In condizioni normali, sono amabili e persino dolci; ma nei pericoli e nei momenti di collera, in tempi di rivoluzioni o di fanatismo, essi arrivano fino all'estremo limite del furore e della follia. (da Napoli. – Nelle strade, a passeggio, p. 59)
  • [Il Lago di Nemi] Un nome, l'antico nome del lago, viene spontaneo sulle labbra, speculum Dianae; senz'altro, lo si vede come doveva essere nei secoli remoti in cui si celebravano riti di sangue; circondato da vaste e nere foreste, deserto, quando i suoi silenzi non eran turbati che dal bramito dei cervi o dal passo delle cerve che venivano a bere: il cacciatore, il montanaro che scorgeva dall'alto d'una roccia la sua immobile chiarità glauca, sentiva la sua carne fremere, come se avesse visto gli occhi chiari della dea; in fondo a quella gola, sotto gli eterni pini e la solitudine inviolata delle querce secolari, il lago riluceva, tragico e casto, e la sua onda metallica, coi suoi riflessi d'acciaio, era lo «specchio di Diana». (da Roma – La Campagna, 28 marzo 1864, p. 114)
  • Una città compiuta in sé stessa, con arte propria, ricca d'animazione senza essere eccessivamente popolosa, non troppo grande, pur essendo capitale, bella e gaia: ecco la prima impressione su Firenze. (da Firenze . – La città, 8 aprile 1864, p. 150)
  • Vi sono razze così privilegiate, che non possono decadere del tutto. la genialità è così innata in questi spiriti, ch'essi si potranno guastare, ma non distruggere; e potranno diventare dilettanti o sofisti, ma non appariranno mai muti o sciocchi. Anzi, proprio nei periodi decadenti si può vederne l'intima essenza, e scoprire che in loro, come nei Greci del tardo Impero, l'intelligenza soverchia il carattere, poiché sopravvive anche quando questo si dissolve. Già sotto i primi Medici, i piaceri più forti sono quelli dell'intelligenza, e lo spirito dei fiorentini si manifesta vivace e caustico. (da Firenze La città, 8 aprile 1864, p. 151)
  • Gli storici antichi chiamano Firenze «la nobile città, la figlia di Roma». Pare che tetraggine del medioevo l'abbia appena sfiorata; Firenze è una pagana elegante, che, non appena si è sentita in grado di pensare, si è dichiarata, timidamente, prima, e apertamente, in seguito, elegante e pagana. (da Firenze . – La città, 8 aprile 1864, p. 155)
  • [Il Lago Maggiore] Da Laveno, si vede il suo largo specchio immobile, variegato qua e là e damaschinato a guisa di corazza da innumerevoli maglie, sotto uno sprazzo di sole che riesce a lacerare una densa volta di nubi; e la brezza lievissima sospinge alla riva ondicelle quasi impercettibili. [...] Al levar del sole, si noleggia una barca, e nella vaporosità diafana dell'alba si attraversa il lago. Esso è largo quanto un braccio di mare, e le sue ondulazioni d'un azzurro plumbeo rilucono debolmente. Una bruma fumosa avvolge cielo ed acqua col suo grigiore. Poi, a poco a poco, si assottiglia, dilegua, e dalle sue maglie ormai diradate si sente filtrare la vivida luce con un gradevole tepore. Si fila così per due ore nella monotona e molle soavità dell'aria appena schiarita, mossa dalla brezza come dall'aleggiare lieve d'un ventaglio di piume; poi, ad un tratto, il velo di vapori si rompe: allora, non si vede più altro intorno che azzurro e luce; sotto, l'acqua simile a un grande manto di velluto increspato, e in alto, il cielo unito come una conca di zaffiro ardente. (da Il Lago MaggioreLe Alpi, 10 maggio 1864, pp. 249-250)

Citazioni su Hyppolite Taine

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  • Ippolito Adolfo Taine è stato uno degl'ingegni più varii, più fecondi e a un tempo dei più chiari, disciplinati e metodici che siano apparsi ai nostri tempi; ingegno d'impronta francese, in cui però l'abito di mente della sua razza, o, per adoperare la espressione ch'egli prediligeva, la forma d'intelligenza che le è propria, ha ricevuto in sé e ha svolto in un potente lavoro di assimilazione molti germi d'idee uscite dalla mente germanica. (Giacomo Barzellotti)
  • L'Antropologia moderna – Biopsicologia – nell'applicazione estetica, si tiene anche distinta dalla filosofia dell'arte, di Ippolito Taine, che fu naturalista di bella letteratura e non di scienza; che, più che d'altro, fece conto della psicologia della razza; e, della fisiologia dell'individuo, predilesse una concezione, per dir così, bloccarda, senza esaminare partitamente le sensazioni, i moti, gli affetti, l'intelletto, la volontà dell'artefice. Tutt'al più dové pensare che, nella fisiologia individuale, le sole rappresentazioni ottiche meritassero la riflessione del critico. (Mariano Luigi Patrizi)
  • Nella dolorosa storia dell'anima moderna, che sotto molti aspetti è una tragica storia, Taine rappresenta uno degli esemplari meglio riusciti e più degni di rispetto delle nobili qualità di quest'anima: coraggio senza falsi ritegni, purezza della coscienza intellettuale, commovente e modesto stoicismo a prezzo di grandi rinunce e di solitudine. Un pensatore dotato di queste qualità merita venerazione: egli sta fra i pochi che rendono immortale la propria epoca. (Friedrich Nietzsche)

Note

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  1. a b Da Vita e opinioni di Frédéric-Thomas Graindorge.
  2. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  3. a b c d e Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  4. Da Storia della letteratura inglese.
  5. Napoleone sulla Religione (1891)
  6. Da Le origini della Francia contemporanea.
  7. Citato in Lionello Venturi, Storia della critica d'arte, Einaudi, Torino, 1966, p. 227.
  8. (FR) Da Vie et opinions de Monsieur Frédéric Thomas Graindorge. (EN) Citato in Stephen Dowell, Thoughts and Words, Spottiswoode & Company, Londraa, 1894, vol. III, p. 93.
  9. Da La Fontaine et ses Fables, Hachette, Parigi, 1911, pp. 166, 107; citato in Matthieu Ricard, Sei un animale!, traduzione di Sergio Orrao, Sperling & Kupfer, Milano, 2016, p. 115. ISBN 978-88-200-6028-2
  10. Da La Fontaine e le sue fiabe.
  11. Da Note sull'Inghilterra.
  12. Da Essai sur Tite-Live; citato in Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Storia e testi della letteratura latina 2: la tarda repubblica e l'età di Augusto, Le Monnier, Firenze, p. 799. ISBN 88-00-42019-2
  13. Emmanuel Joseph Sieyès.

Bibliografia

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  • Hippolyte Taine, La rivoluzione, parte seconda La conquista giacobina, Fratelli Treves editori, Milano, 1911.
  • Hippolyte Taine, Viaggio in Italia, a cura di Attilio Roggero, UTET, Torino, stampa 1956.

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